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Chiaro inusuale - 04

Restare per molto tempo in una condizione di assenza totale comporta sofferenza e dolore, sopra tutto significa sentirsi, rimanere e stare da solo.
La solitudine, sentirsi solo al mondo, può essere una condizione che si subisce o si sceglie. In quel periodo, la mia non fu né una condizione scelta e, meno ancora, subita. Era la mia sola condizione, l’unica possibile. Ogni altra mi avrebbe portato troppo lontano e, probabilmente, danneggiato irreversibilmente. Una condizione auto protettiva, essenziale per rimanere in questo mondo, dopo aver metaforicamente attraversato il paradiso, il purgatorio e l’inferno. M’ero semplicemente messo in pausa e, con me, avevo messo in pausa ogni altra cosa per non pensare, ricordare e soffrire.
Sapere questo mi confortava molto e, pur soffrendo e avvertendo il dolore e la solitudine che quello stato mi procurava, m’ero talmente addentrato in quello stadio di assenza che avevo completamente smesso di avvertire qualsiasi altra condizione che non fosse quella dell’assenza di ogni emozione. Vivevo come in uno stadio contemplativo, svuotato da ogni pensiero materiale e immateriale che mi riguardasse anche secondariamente. Avevo semplicemente smesso di considerarmi parte essenziale di questo mondo e in quella condizione riuscivo a vedere, a sentire, capire e restare attento a tutti gli altri fatti che riguardavano l’esterno.
Principalmente osservavo ed ero attento alla natura. Gli alberi, l’erba, il cielo, le montagne, i fiumi e, sopra tutto, i colori che non riuscivo a vedere e che s’erano semplicemente ridotti a un chiaro inusuale che dominava ogni cosa e rendeva tutto uguale e immutabile.
In quel periodo tanto proficuo per la mia anima, posi attenzione su tantissime vicende a cui non avevo mai dato importanza e attenzione sino ad allora o che avevo vissuto e visto solo superficialmente.
Per esempio per un periodo sufficientemente lungo mi chiesi se le nubi sapevano perché si muovevano in una determinata direzione e se potessero sceglierla. Se erano in grado di decidere a quale velocità muoversi e se il loro movimento fosse frutto di un impulso o se, invece, il loro muoversi fosse solo il risultato di un destino o ancora, più semplicemente, fossero incapaci di decidere ogni cosa e in balia del vento.
Il cielo, mi dicevo, deve avere qualche ragione; dietro ogni nube che si muove in una direzione con una velocità statica, tanto monotona da sembrare immobile ci doveva essere un disegno, una motivazione che non possiamo o non riusciamo a sapere e a comprendere Tale ragionamento mi faceva supporre che anche in me ci doveva essere un qualcosa di concreto e che anche quel momento doveva pure avere uno scopo, una ragione.
Non riuscivo a dare una risposta ma intuivo che, prima o poi, sarei arrivato a dare una risposta sensata e mi dissi che l’avrei saputo se fossi riuscito a elevarmi così in alto da vedere oltre l’orizzonte.
Alcune teorie che avevo studiato da certi libri sulla conoscenza e sulle potenzialità umane dicevano che i problemi che riguardavano i desideri fossero strettamente collegati al potere di poterli realizzare e che ciò dipendeva esclusivamente dalla pazienza, dalla fatica necessaria e dalla costanza che ciascun individuo riesce ad avere nel perseguire un fine. Avevo talmente bisogno di credere in qualcosa e ritrovare fiducia nella vita che non feci alcuno sforzo per crederci. Mi resi anche conto quanto fosse facile dimenticare i momenti di conoscenza e farsi convincere che essi non siano che sogni o miracoli del passato definitivamente scomparsi. La teoria che m’ero imposto affermava, invece, che niente dei sogni è sogno e niente di ciò che è bello è miracolo. Il mondo e la vita, secondo quelle convinzioni, erano esclusivamente un quadro di esercizi, pagine sulle quali eseguire operazioni.
Teoria che avevo spostato completamente e, alla quale, m’ero affidato per superare ogni tentennamento e paura. Anche se non fosse stata realtà rappresentava una convinzione nella quale rifugiarmi nei momenti di maggiore difficoltà e, tutto sommato, avevo trovato in essa la libertà di vivere ogni assurdità e menzogna che avrei potuto sempre distruggere e rivedere in qualsiasi momento se fossi rimasto deluso.
Riflettere costantemente su queste considerazioni e rimanere assente per tutto il resto mi creava uno stato di superiorità mentale indefinibile. M’ero affidato completamente alla mia anima e la seguivo fedelmente in quella complicata strada alla ricerca della mia essenza. In passato avevo sempre limitato queste riflessioni e non m’ero mai spinto oltre le normali considerazioni che ogni essere fa nel corso della sua vita. In quel periodo non avevo nessun altro interesse, ero esclusivamente concentrato su questi problemi di coscienza ed ero intenzionato ad arrivare sino in fondo per scoprire, finalmente, quanto sarei riuscito a essere schietto e sincero con me stesso per comprendere la mia disponibilità e il mio egoismo.
Cercavo di ascoltare ogni pensiero che viveva in me e mi ripetevo di essere capace e disponibile per fare qualsiasi cosa; una volta capito perfettamente cosa veramente desideravo e mi serviva per vivere una realtà vera che mi ponesse nelle condizioni di coscienza.





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